Tutto concorre al Tutto, Tutto concorre all’Uno.
Tutto
concorre al Tutto, Tutto concorre all’Uno.
Ignoro
quale sia il confine tra il pensiero intrusivo di Te, il ricordo, il senso di
colpa, l’Amore o l’onore che ti devo per non dimenticare. Perché tutto concorra
per esser sigillo di consapevolezza, perché il tuo sacrificio conduca a non
aver più paura di amare oltre qualsiasi natura.
Inquieto,
il giovane monaco, cercò l’Abate. Quando fu davanti a lui tacque. Lo guardò negli
occhi e l’Anima prese a confessarsi. L’Abate accolse le parole custodite nei
respiri, il dolore nelle lacrime trattenute. E mentre le dita scorrevano sui
grani sembrò filare le ferite di quel giovane monaco. Nei suoi occhi, chiuse le
palpebre, lasciò un seme di speranza poi lo congedò.
Il
monaco lasciato l’Abate attraversò il Chiostro del Monastero.
Era
di marzo. Il giovane monaco si sdraiò a terra, dapprima guardò il Cielo poi
sazio di quella meravigliosa immensità si volse a guardare in basso. Si trovò a
guardare la terra scura, a respirare l’essenza delle sue radici. L’odore
dell’erba solleticò le sue narici e i suoi occhi, persi tra quei fili verdi
ritti come lance, incontrarono nuovi mondi.
Un
ragno tesseva la sua ragnatela, quasi impercettibile allo sguardo era opera
d’arte. Prigione mortale per l’insetto che ne restava impigliato. Rapito da
quel filare preciso e leggero si chiese se quel piccolo ragno fosse consapevole
del suo talento e della sua arte. La luce carezzava quel filo di seta e ne faceva
filo di perle lucenti.
La
luce.
C’era
bisogno di luce perché quel talento fosse riconosciuto e splendesse, perché
quel talento fosse sottratto al buio.
Respirò
a lungo.
Il
buio immobilizza e lo spazio ceco di luce, piatto, senza volume ingoia ogni
cosa. Un raggio di Luce, calando dall’alto come rugiada, sottrae la Vita alle
tenebre, ne fa dono prezioso.
Il
Monaco chiuse gli occhi e sulle palpebre restò impresso quel riflesso di perle
bianche filate come lana. Aperte le braccia si abbandonò alla terra. Sugli
occhi si figurò la figura di Saulo, disarcionato, immobile sotto lo zoccolo del
suo cavallo. La Vita terrena lo sovrasta e lui, aperte le braccia
ad occhi chiusi si abbandona alla fragilità. Sulla Via di Damasco la
cecità si perde carezzata dalla Luce Celeste.
L’odore
della terra era nelle narici, il battito del Cuore era volto al tramonto. Il
Monaco si domandò se fosse pronto a perdere la sua cecità. Vergine della sua
debolezza, ci mise un po’ prima di avere il coraggio di aprire le braccia.
La
luce, riflessa nelle gocce di rugiada sui fili dritti d’erba divenne gemma
preziosa e la preghiera del giovane monaco fu richiesta di grazia e perdono.
“Sopra le tombe d'altri mondi nascono fiori che non so” F. De André

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