La canzone del Padre
Il monaco si strinse nella sua solitudine e
nel respiro vide affiorare le ferite di un’intera vita. Affiorarono come
piccoli germogli. Avevano radici nell’anima e fiori nella mente. I pensieri si
affollavano, uno tirava l’altro. Disseppellivano immagini dalla memoria. Sulla
lingua sentì il sapore del latte rancido bevuto da bambino mentre dolci carezze
gli sfioravano la fronte. Nel pentagramma di quelle rughe era scritto il dolore
che gli aveva attraversato la pelle.
Il peccato mi è dinanzi recitava il Salmo e il
monaco, aperti i palmi, s’arrese alla preghiera.
Il respiro si fece profondo e s’immaginò a
chiedere all’Anima del Padre. Furono sussurri di Vento. Il silenzio inumidì le
labbra e negli occhi cristallizzò il sale delle lacrime non piante mentre un
sorriso d’altri tempi e vite gli illuminò il viso.
Chiuse gli occhi e vide le stagioni
susseguirsi nel Cuore. D’autunno, avvolto nel pericardio come fosse un mantello
di foglie rosse d’acero, lui si proteggeva dagli abbandoni. Era d’inverno, per
il freddo delle umiliazioni, che si contraeva con spasmi e grida. Fu da uno
squarcio di primavera che vide sbocciare quei doni a prima vista ingiusti e, fu
con l’avvento dell’estate che vedendosi rifiutato, vide appassire quei sogni di
neve.
Raccolto nella posizione del loto, respirò nel
ventre gli echi di quelle ferite, le immaginò ancora come semi bisognosi di
morire per rinascere. Si chiese che terra era stato il suo Cuore. Steppa o
deserto? Terra ricolma di sassi o terra umida e fertile?
Come un sarto filava col respiro i suoi
pensieri. Nello specchio dei suoi occhi cercò la confessione mancante per i
peccati taciuti. Nel silenzio della sua fede li provò a narrare. Era riuscito a
mutare in dono le sue ferite?
Un senso di vergogna maturò e fu frutto rosso. Il Cuore si affacciò sull’Anima chiedendole perdono, grazia e nuova gioia.
Un alito di vento attraversò le stagioni,
misericordioso ne velò i colori. Donava quiete di un bianco candido. Era
carezza di madre nell’infanzia che non ha pensieri.
Il frutto rosso divenne grumo di sangue, sulla
tomba delle sue ferite sbiancò e, in quello che credette l’abbraccio del Padre, mutò in giglio.
«Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte
cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra cadde fra
i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un
terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo
radice, si seccò. Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la
soffocarono e non diede frutto. E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto
che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per
uno».
Marco 4,1-20

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