Contro gravità


Si può cadere verso l’alto, chiese?

Lui restò in silenzio e abbassò lo sguardo. Guardai le sue mani.

Le dita dapprima si distesero come vele gonfie di vento poi dolcemente si intrecciarono e divennero nodo.

Con un filo di voce mi chiese: Quanto pesa il tuo dolore?

Dove risiede il dolore mi chiesi, nella mente? Nel Cuore? Nei visceri o nel sangue?

Lui come se mi avesse letto dentro e tradotto l’esitazione sulle mie labbra chiese ancora: Riusciresti a estirparlo dal tuo Cuore senza versare una goccia del tuo sangue?

Fu allora che il mio Cuore straripò del suo dolore. 

Toccai il fondo.

Lui incalzò: esiste forse una stadera che possa pesare il Cuore e il suo dolore? Cosa porresti sull’altro braccio? Un altro Cuore?

Fu allora che lasciai andare quel nodo in gola, quel senso di trafitto che devasta l’Anima.

Si può cadere verso l’alto, chiese ancora?

E così capii…

Distesi le dita come vele gonfie di vento, le intrecciai come fili di vimini perché fossero nodo e sottovoce chiesi:

Sii la Mano che sorregge, la Mano che scava dentro.

Sii il Mare che accoglie le lacrime, il Vuoto che accoglie le grida.

Sii la carezza per i miei abbandoni, Sii la Voce che consola.

Sii il Centro del mio piccolo centro.

Sii Cura nella mia Preghiera.

Sul bordo dell’Anima apparve tutto chiaro. 

Il Cuore controvento sorrise e si sentì pronto. 

Contro gravità con coraggio e fede cadde verso l’alto.

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