Il Vasaio
Nella
penombra della sera in una delle strette viuzze del centro potevi scorgere il
vasaio. Lui era lì di fronte al tornio. Le sue mani carezzavano l’argilla e
quella prendeva forma sotto gli occhi. Non c’era istante che non si provasse
stupore nello scorgere che quel semplice miscuglio di acqua e sabbia potesse
divenire fra le mani qualcosa che richiamasse l’arte.
Ma
non era l’arte quella che cercava il vasaio. Non era la vanità, non era il suo
nome sulle labbra della gente, non erano le sue opere esposte nelle mostre
quello che cercava ma era molto, molto di più.
Nella
penombra della sua piccola officina la mente era impegnata a stabilire quale
fosse il gesto delle dita che meglio potesse assecondare il movimento sinuoso e sensuale dell’argilla. Era nella tenerezza del tocco delle dita la magia. Non dovevano
esserci fratture fra il suo tocco e quel tornado d’argilla che si muoveva fra
le mani.
In
quel piccolo momento di armonia il vasaio imparava l’arte del silenzio, l’arte
del danzare nel Vuoto. Perché in fondo quello che il vasaio cercava di continuo
non era la linea sinuosa che desse al vaso la forma perfetta, quello che il
vasaio cercava era la forma perfetta che fosse capace di contenere il vuoto che
era dentro di lui.
Il
Vuoto della Morte, il Vuoto del Cuore, il Vuoto dei visceri. Il Vuoto come
Vento sul Viso, i Vuoti d’aria che lasciano sospesi e increduli, i Vuoti dei
suoi richiami.
Il
vasaio aveva un rito: prima di cuocere l’argilla nel forno la insufflava col
suo respiro. In quel respiro lasciava andare il suo vuoto, illudendosi che pian
piano ciò che aveva dentro potesse muoversi e fluire.
Elementare
pensava, prima o poi sarò capace di liberarmi del Vuoto. Vuoto richiama Vuoto,
prima o poi sarò capace di creare quella forma perfetta capace di accogliere il
mio vuoto.
Nessuna
forma che ricalcò la perfezione seppe accogliere quel Vuoto. Elementare, non
per nulla scontato, come chi crede di esser immortale.
Nacque imperfetta la
forma che seppe accogliere il vuoto del vasaio. Una frattura
rigò la linea sinuosa e, la frattura lasciò un piccolo vuoto.
Il
primo pensiero del vasaio quando vide l’opera rigata fu di rifiuto e rigetto.
L’apprendista che era lì con lui gli suggerì di riempirla d’oro come fanno in
Giappone. Perché non provare a impreziosirla?
Lui
ci pensò qualche istante, l’idea lo affascinava. Prese tra le mani l’opera
imperfetta e vi soffiò dentro.
Un
attimo dopo il Vasaio sentì i talloni sollevarsi da terra, prese coraggio e
saltò. Saltò dalla realtà all’incredulità.
Il
Vasaio sorrise, capì finalmente che il suo vuoto poteva essere accolto solo da
un Vuoto più grande, che non poteva avere alcuna forma reale.
La perfezione non è di questo mondo.
Dalla
frattura il Vasaio guardò il Cielo, scrutò le stelle, ora il Vuoto risuonava nella
potenza dell’Eterno.
Per
anni aveva cercato di confinare il Vuoto nel posto sbagliato.
Ritornò al tornio e, mentre le sue dita carezzavano con tocco leggero e delicato l’argilla, pregò Dio e ripeté sottovoce:
Rimetti
a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Amen.

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