Essenza
“Noi
siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un
sogno è raccolta la nostra breve vita”.
William
Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I
Il vecchio Maestro iniziò a parlare come quando si prega. La voce sottile e profonda. Forse era un sogno o forse non lo era. L’allievo in una quiete apparente, con gli occhi chiusi, raccolse il suo corpo in un abbraccio. Volò di grembo in Vita. Il corpo abbandonato richiamò dalle viscere dei nervi le sue ferite. Le palpebre velavano le stagioni che si susseguivano nel Cuore. L’allievo contò le ombre che come cicatrici avevano marchiato la sua schiena. Prigioni senza sbarre erano divenute le vertebre, custodi di immagini e parole lontane e pesanti. La memoria annaspò nella fitta rete di nervi, poi si quietò nel respiro profondo. Quando risorse dall’oblio, l’eco di quelle memorie cadde negli occhi con peso di lacrime. Acqua chiamò Acqua. Il bimbo che era stato nuotava nel grembo. Persa la verginità del Cielo nacque. Ora i profili dei padri e delle madri misuravano il dolore che filtrava dal velo bianco giunto a coprir la fragilità fatta Uomo.
L’Uomo
cercò di sé i frammenti nel cerchio di voci e di ombre che si confondevano in
quella nebbia bianca che si raccoglieva nei sensi smembrati. Altri ricordi
vennero alla mente, caddero come stelle. S’annidarono nelle rughe sulla fronte.
Scintilla
è il perdono che lascia raggrumare rivoli di sangue. Preghiera è promessa di
resurrezione.
L’allievo
scorse il buio e vi portò Luce. Lo stupore si aprì negli occhi e dal buio
illuminato di taglio scorse la scala verso il suo centro, ritaglio del paradiso,
via della Croce. Si avvicinò all’Essenza di quel che era. Ne sfiorò i contorni.
Il
vecchio Maestro tacque. L’allievo sostò in attesa fra il sonno e il sogno.
Poi nel
ventre inspirò il suo nome. Aprì gli occhi. Il mio nome è creazione, sono di
nuovo in grembo, mi sento voluto e amato, sussurrò sottovoce. Si sentì parte
della Meraviglia del Creato.
Il sogno era nel suo ventre, era nei suoi occhi. La realtà era sulle dita e aveva ancora percezione di quell’Essenza.

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