L'Apocalisse



C’era bisogno di storie pensò. E chiusi gli occhi il ricordo della sua infanzia apparve sulle palpebre.
Seduto sulle ginocchia di suo nonno ascoltava i racconti frutto di realtà e di fantasia. Ascoltava quelle storie sorseggiando una spremuta d’arancia mentre nella stanza accanto sua nonna canticchiava canzoni in dialetto.
Una delle sue ultime storie iniziava così:
"C’era una volta nella foresta di Giada un piccolo villaggio di pescatori. Le case di legno durante l’inverno si ricoprivano di neve, bianca veste capace di diventare tela. D’estate invece la brezza marina soffiava forte. Il sole carezzava le donne e i bambini, ispessiva le rughe dei vecchi pescatori che custodivano accanto agli occhi, come fosse una lacrima, quella scia di sale. In un gioco di alternanze di stagioni, di luce e di buio la Vita veniva vissuta più o meno normalmente. L’autunno era finito, l’inverno era iniziato e una tempesta di neve si abbatté sul piccolo villaggio. Arrivò il bianco e con esso il buio e il silenzio. Quella tempesta durò così tanto tempo, imperversò per così tanti giorni che tutti furono costretti a chiudersi in casa. La neve aveva sommerso ogni cosa. Furono settimane dure e intense. Prigionieri in casa ognuno dovette far i conti con le proprie provviste, il proprio lavoro, i propri acciacchi. Durante i primi giorni dopo un momento di smarrimento e di rabbia per la prigionia forzata, ciascuno ebbe l’impressione di poter guardare al tempo in maniera diversa. Ci si dedicò a ciò che per lungo tempo solitamente si rimandava: cucinare una nuova ricetta, giocare con i propri figli, godersi semplicemente quel divano a lungo occupato solo dal cane. Insomma se nulla era venuto a caso perché non approfittarne. 

I giorni trascorsero lenti, le provviste iniziarono a scarseggiare e non tardò ad arrivare una nuova tempesta. La neve ricoprì di nuovo tutto. Tornò il buio. Il tempo sembrò dilatarsi e irrigidirsi come gli oggetti intrappolati nel ghiaccio fuori al giardino. Il tempo divenne prigione e la voglia di fare si trasformò in pigrizia."
Che strana storia pensai. Nonno chi te l’ha raccontata chiesi? Lui socchiuse gli occhi e sottovoce rispose: "il vento". E riprese a raccontare.
"Le barche ormeggiate al porto erano cullate dalle onde e dal vento. Erano divenute forzieri di reti vuote. I pescatori avevano visto crescere la loro barba, avevano imparato a dare una mano alle proprie mogli e avevano visto sparire pian piano quella scia di sale accanto agli occhi. Il tempo passava e l’impossibilità di muoversi iniziava a stare stretta a tutti. I più intraprendenti avevano provato a grattar via il ghiaccio dalle finestre e dalle porte ma le varie tempeste che si erano succedute avevano creato un muro spesso e duro. I pasti si erano ridotti e le ore di luce erano diventate sempre più brevi. Anche le candele erano diventate un lusso. Quando per qualche giorno tutto tacque si pensò che il peggio fosse passato. Tutti si illusero fino a quando arrivò una nuova tempesta e ogni cosa fu di nuovo ingoiata dal bianco. Dei piccoli lumicini restò la cera e del cibo non che pochi avanzi. Gli adulti cercavano di lasciar quel poco che restava ai bambini e ai vecchi, gli unici che in quel silenzio facevano sentire la loro voce, gli unici a tener le mani unite in preghiera."
Nonno ma come ti vengono certe storie chiesi? Lui tacque, poi prima di ricominciare di nuovo a raccontare disse: "accade ciò che deve essere". Si carezzò la barba bianca, mosse gli occhi come a cercare nel vuoto l’ultimo rigo letto e riprese a raccontare.
"Il silenzio aveva portato a vuotare ciò che era colmo e traboccante. Il bianco aveva portato alla luce il nero di dentro. Ciascun uomo, ciascuna donna e ciascun bambino si erano ritrovati in modo inaspettato a far luce lì dove nessuno mai avrebbe pensato che quella luce potesse mancare. Avevano dovuto scostare il velo, guardare nello spazio di confine tra il bianco che accecava e il nero che voleva restare nascosto. Bisognava scegliere da che parte stare. Bisognava guardare alla vanità, alla presunzione, a ciò che c’era di buono, a cosa veniva separato, a cosa si era diventati, a cosa si era lasciato indietro, a cosa si voleva essere. Avevano dovuto scostare il velo e cercare nel buio dei loro egoismi quella fiamma di Luce che dimessa e dimenticata negli anni era divenuta un lumicino. L’Ego aveva avvolto l’Anima col suo mantello.
La cera, così come la cenere dell’ultimo ceppo accolto dal camino, erano memoria di un fuoco, di una luce che non era più. Quando ogni cosa sembrava perduta e oramai quasi tutti iniziavano a credere di morire sepolti da quella neve bianca accadde qualcosa di inaspettato. Al centro del petto della vecchia più anziana del villaggio si intravide come un piccolo lumicino. Lei neanche se ne accorse, fu suo nipote a chiamare a gran voce suo padre e sua madre dicendo: "Babbo, mamma, guardate! Vedete la nonna ha qualcosa che fa luce, lì sul petto."
In quella penombra fu davvero facile vedere quella piccola lucina. Era oramai l’unica cosa che brillava nella casa. Aveva la forma di un cerchio, piccolo ma estremamente luminoso. L’anziana dopo le urla del suo nipotino si guardò il petto e rimase anche lei sorpresa di quella che sembrava una lucina proprio accanto al Cuore. Si toccò subito il petto e restò confusa, sorpresa, incredula. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Aveva paura, chiamò il suo nipotino, gli disse di sedersi accanto a lei e di pregare. Lui corse e si sedette accanto con le mani giunte. Non trascorse molto tempo e d’un tratto anche il torace del piccolo bambino prese a illuminarsi. Un piccolo cerchio bianco, proprio al centro del petto. Mamma, babbo gridò: “guardate”. Loro corsero e strabuzzati gli occhi restarono fermi in silenzio. L’anziana invitò anche loro a sedersi, venite, venite qui con noi disse. Quando tutti furono in cerchio l’uno accanto all’altra con le mani giunte una piccola luce comparve al centro anche del loro petto. Una sensazione di fiducia e leggerezza gli attraversò. Fu come una carezza leggera e calda sulla pelle."
E poi cosa successe nonno chiesi? Lui si grattò la testa e disse: "il vento si è fermato. Ha smesso di raccontare."
Ma io voglio sapere come finisce la storia ripetei e lui prendendomi la mano mi disse: “Mi piace pensare che quella luce nel petto fu capace di sciogliere la neve e che tutti poterono tornare ad aprire le porte e a spalancare le finestre. Usciti fuori poterono rivedere il mare e i campi, le case del villaggio e accorgersi che in fondo nulla era cambiato."
Poi aggiunse: "Bisogna cambiare dentro per poter guardare fuori. Bisogna far luce dentro per illuminare. Aprire il vero Occhio per vedere l'illusione della separazione. È stato ciò che doveva essere. L’Apocalisse è la Rivelazione di ciò che siamo e di ciò che vogliamo essere.
Si carezzò la barba bianca e sottovoce sussurrò: e tu dopo la tempesta chi vuoi tornare a essere?


Il Maestro disse: «La Realtà è Ciò che ha concepito il gioco delle realtà. La Realtà è Ciò che vi farà spostare le vostre orme dentro alle mie. È immaginazione nella fiducia. È ciò che genera la Conoscenza». Il discepolo chiese ancora: «Abbiamo sete. Come raggiungere la Realtà?». Il Maestro parlò a tutti: «Smontando ciò che non è Uno, contemplando la materia che inventa la frattura, amando la frattura per i suoi giochi, amandone i giochi per la strada che essa traccia verso il Gioco».

Vangelo Apocrifo di Maria Maddalena

 

 

 

Commenti

Chiara ha detto…
Una bella storia di speranza, ognuno di noi è portatore di luce che prima o poi verrà fuori e la preghiera permette proprio di vedere il divino in ogni persona