Matrioske


Era lì, vestita di qualche granello di polvere, cimelio d'altri tempi. I colori erano ancora vivi e il legno non mostrava alcun difetto. La osservavo. Chissà cosa ci faceva quel souvenir di terre lontane nella vecchia casa di mia nonna. L'afferrai e con la punta delle dita l'accarezzai e la svestii del velo di polvere grigia. I colori si fecero più nitidi. Sulla superficie liscia del legno era disegnata una piccola bambolina. Risaltavano gli occhi neri, le guance paffute colorate di rosa e un piccolo fazzoletto rosso che diveniva copricapo. Un vestito a fiori senza apparenti tagli o cuciture racchiudeva il resto del corpo privo di forme definite. Una linea sottile tagliava in due la piccola bambolina. Separati i lembi la linea lasciò intravedere le forme custodite all'interno del legno. 

Eccola la matrioska. Una bambolina più piccola vedeva la luce. Gli occhi neri, le guance paffute, le labbra un puntino rosso su sfondo bianco. Vestita anch'essa di fiori e divisa in due da quella sottile linea di confine. 

Ruotai ancora una volta le due metà ed eccola la nuova figlia. 

Arrivai dalla madre fino alla bambolina più piccola, il seme. Nessun copricapo rosso, capelli sciolti, lunghi fino alle spalle. Gli occhi: piccoli cerchi perfetti e di colore nero. Le labbra si aprivano in un sorriso piccolo e grazioso. Sul vestito un unico fiore rosso, un bocciolo. Nessuna linea di confine divideva il seme. L'ultima bambina della matrioska era un unico pezzo di legno. L'unico pezzo non vuoto, indivisibile.

Cercai qualche notizia storica…

La prima matrioska era stata creata sul finire del 1800. Un giocattolaio russo realizzò la bambolina prendendo spunto da alcuni schizzi di un pittore che, a sua volta, si diceva avesse tratto ispirazione da alcune statuette di legno giapponesi: le Shichi-fuku-jin: le “7 divinità della buona fortuna” che, secondo la leggenda, offrivano bellezza, conoscenza, felicità, fertilità, longevità, prosperità e ricchezza.

La bambolina più grande, la “madre”, conteneva in sé tutte le sue figlie. Il suo grembo offriva Vita alla Vita, pensai.

Il finito nell'Infinito. Attraverso una separazione dall’Uno nasce il Molteplice. In fondo è da un’unione che nasce una separazione… e quel che si separa in realtà contiene in sé una parte della sua origine…

È come se qualcosa che partisse da sé andasse oltre il sé, e arrivasse poi a trascendere il sé. 

Filosofeggiavo e in quel mio soliloquio pensai a quante matriosche potevano essere contenute nel mio corpo. 

E così provai a spogliarmi… vita dopo vita, avo dopo avo, madre dopo madre, maschera dopo maschera, ferita dopo ferita. Cercai il mio seme, quel pezzo indivisibile che faceva di me l'anima che ero, l'anima che volevo vestisse il corpo.

Quale era il mio seme? Che sembianze aveva?

Aveva gli occhi e il sorriso di mio figlio. Aveva dentro e fuori di sé la Meraviglia… lo Stupore.

Mi ritornò in mente una poesia di Eduardo De Filippo…

Si te veco: me veco.

Si mme vire: te vire.

Si tu parle, c’è l’eco

e chist’eco song’i.

Si te muove: me movo.

Si te sento: me sento.

Si me truove, te trovo…

Si me trovo, si tu!

E allora mi spogliai ... “Quann'a felicità nun a vir'cercal'arint'.” 

Sublimai l'anima a figlio, a ultima matrioska. E il figlio rivelò al Cuore il suo mandato.

Unire ciò che è dentro al fuori, il collettivo al soggettivo, ciò che è seme con ciò che è fiore. 

L'Unione porta al nocciolo dell’identità, l'Unione porta a esser Immagine e Somiglianza.

E il figlio rivelò al Cuore il suo mandato.

Ricucire i lembi delle ferite che l'anima mostra, unire “mane e mane” avi e avi, madri e padri, figli e figlie …

La verità va al di là delle apparenze. “Chi non conosce o scur non po capì a luce…”. 

Cominciai a tendere le mani dalla madre al seme, “Sadda essere assai forte pe' vulè bene 'a solitudine”, e trovato il seme provai a tendere le mani verso i figli dei figli. 

“Amerai il tuo prossimo come te stesso”. 

 

Voce 'e n'omm', Voce mia. Voce 'e popolo Voce 'e Dio.


Poi, il Maestro mi disse ancora: “La consapevolezza dell'amore è generata dalla Separazione. Così è, bisogna morire di molte morti per conoscere la luce della nascita.

dal Vangelo apocrifo di Maria Maddalena.

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