Cicatrici
Ti nascondi, il tuo intimo è celato da una maschera. Celi l’Anima dietro i tuoi racconti, è così che fai, fingi di esser altro e altri. Una piuma di luce ti farà volare ti dicesti.
Ti sedesti in riva al mare, amavi sostare lì quando non c'era nessuno. Chiudevi gli occhi e ascoltavi le onde. Era come voler porgere l'orecchio vicino alla bocca di tua nonna, quella che ti raccontava storie e leggende.
D'un tratto apristi gli occhi, lasciasti la riva e le storie delle onde alle spalle. Ti avvicinasti a quel cono di luce accanto al vecchio e cieco faro e iniziasti a guardare le tue cicatrici. Iniziasti a guardarle una per una. Ne contasti a decine. Ne seguisti i margini, i confini. Alcune si perdevano, altre si sovrapponevano le une alle altre. Di alcune i confini erano netti e si scorgeva la linea che aveva tracciato il filo per unire i lembi. La cicatrice più marcata era quella sulla guancia sinistra. Piccola ma profonda.
La sabbia ricuciva le ferite, quelle del mare, quelle degli uomini. Il tuo corpo invece le ferite le aveva, fino ad allora, preservate. Aveva tenuto in memoria ciascuna delle orme che avevano calpestato il corpo. La pelle aveva conservato i torti subiti, la rabbia, lo sgomento così come le angosce.
Anima mia raccontami le tue vite dicesti. Dio ti plasmò nel fuoco e nell'acqua perché potessi esser luce e nutrimento. Fosti materia nel grembo della tua prima madre, Dio si avvalse ancora di una donna per esser sostanza. Quante vite hai trapassato, il corpo è stato da sempre custode del destino. Dei grembi che hai scelto hai perso memoria, hai solo ricordi dell'ultima madre, del suono della sua voce e dei suoi baci sulla fronte.
Ti spogliasti, togliesti in fretta la maglietta poi barcollando qua e là togliesti i pantaloni e corresti veloce. I primi passi furono leggeri poi quando incontrasti il mare dovesti alzare le ginocchia per vincere le onde. Facesti ancora qualche passo e poi ti tuffasti. Nuotasti sott'acqua qualche secondo. La superficie dell'acqua sembrava luccicare. Merito del riflesso di tutte quelle stelle pensasti. Abbandonasti il tuo corpo come a voler affogare. Durante quei pochi istanti in apnea sentisti il pianto sgorgare da tutte le tue ferite. Pensasti che tutti spingevano tutti a diventare ciò che si vuol essere. Facesti un respiro profondo, ti sfiorasti la guancia sinistra. Delle lacrime scesero leggere dagli occhi. Le ferite che avevi lasciato al mare erano le maschere che ti si erano appiccicate addosso. Le maschere che gli altri ti avevano prestato, quelle che ti avevano rubato, quelle che gli altri ti avevano dipinto sul viso, quelle che avevi deciso di indossare. Vedesti il tuo corpo completamente immerso nell'acqua, poi il viso andò verso la superficie. Ti abbandonasti all'acqua lentamente e l'acqua stessa diventò una seconda pelle.
È così che nascesti, lasciando l'acqua.
E così alla fine comprendesti che bisognava camminare lungo le ferite, perché era dentro di esse che ti saresti ritrovato, perché è dentro di esse che avresti scoperto di non poterti più sentire né tradito, né abbandonato. Perché è dentro di esse che avresti trovato te stesso e ti saresti visto, riconosciuto e sostenuto.
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch'io porti amore,
dove è offesa, ch'io porti il perdono,
dove è discordia, ch'io porti la fede,
dove è l'errore, ch'io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch'io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch'io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè:
Se è: Dando, che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.

Commenti