Il Monaco
È così buffo pensò!
Intanto la neve cadeva lenta e soffice sulla sua testa e sulle mani giunte in preghiera all’altezza del petto. Si meravigliò ancora una volta per quell’incanto che la Natura sapeva offrirgli. Davanti ai suoi occhi un’immensa distesa bianca si perdeva nell’orizzonte. Seduto sul ciglio di un burrone guardava il vuoto cercando il vuoto più profondo dentro di lui.
In monastero era stata una settimana intensa e l’arrivo di un nuovo monaco, che sembrava avesse attirato a sé tutte le premure dell’abate, aveva trasformato profondamente gli equilibri. L’abate aveva ammonito ciascuno con piglio dolce e deciso. Aveva raccontato poi una brevissima storia. Aveva raccontato del ventenne P’eng Cho e di sua madre. La profezia diceva che P’eng Cho sarebbe morto di lì a qualche anno. Un giorno qualunque P’eng Cho incontrò sul suo cammino gli 8 Immortali, la sua cortesia verso di loro li rallegrò e al tempo stesso li sorprese. Anni più tardi nel giorno che doveva segnare la morte di P’eng Cho, gli 8 Immortali incrociarono di nuovo il suo cammino e lui spinto dalla madre chiese loro la grazia di aver salva la vita. Gli 8 Immortali sorrisero, e P’eng Cho, gioioso lasciò cadere la sua zappa, fu quella stessa zappa che all’insaputa di P’eng Cho, uccise il serpente che stava per strappargli la vita.
L’abate terminato il racconto distese dolcemente le labbra e quel che nacque fu un sorriso che spinse, senza proferir parola, tutti i monaci al discernimento. Ciascun monaco allora si allontanò in religioso silenzio e prese a camminare. Passi lenti e cadenzati. Respiri più o meno profondi. Accadde così che il monaco dopo ore di cammino giunse sulla vetta, a pochi passi dal burrone.
È così buffo pensò!
La neve bianca continuò a carezzargli il viso tingendo di bianco le labbra rosse. Si sedette sul ciglio del burrone, socchiuse gli occhi e prese a respirare.
Un’ombra nera affiorò, cavalcava un destriero bianco. L’ombra non aveva un volto era come un buco nero confinato nelle pieghe di un mantello. Il cavaliere avanzava veloce verso di lui, e lui era lì fermo ad aspettarlo con i suoi calzoncini bianchi e gli occhi grandi e verdi. Era un bambino e la Morte si presentò a lui con il suo destriero bianco. Quel bambino tremava dalla paura, aveva tra le mani un piccolo pettirosso, il suo cinguettio l’aveva allietato e gli aveva tenuto compagnia. Lo strinse tra le mani cercando in quel piccolo uccellino le ali per scappar via. In quell’istante il cinguettio migrò lontano e l’ultima nota finì nelle pieghe di quel mantello nero. Il bambino restò solo, strinse tra le mani il corpo freddo del pettirosso e lo inondò con le sue lacrime. Il destriero nitrì e l’ombra nera si allontanò.
Il respiro del monaco sussultò, i polmoni si contrassero, quasi fino a collassare. Il monaco allora cercò tra i suoi ricordi l’immagine del fiume Giallo. Lasciò all’acqua del fiume la sua paura, la lasciò scivolare via. Sentì poi d’un tratto l’abbraccio forte di sua madre, fu come una stretta al Cuore e la paura tornò più forte. L’acqua del fiume arrivò in lui, dentro. Gli argini non ressero e il fiume straripò. Il respiro tornò da quel bambino, gli occhi grandi e verdi fissi sul piccolo pettirosso, le lacrime copiose a bagnare le sue piume. Sentì nuovamente così forte l’abbraccio di sua madre da non aver respiro. Cercò con tutte le sue forze di liberarsi, si dimenò fino allo stremo. Si accasciò e si raggomitolò nell’abbraccio di sua madre, gli sembrò di ritornare nel suo grembo. Ne vide e ne sentì il respiro. Vide poi il sorriso beffardo del cavaliere senza volto. Il fiume si acquietò e le sue acque fangose restarono a lambire le rive del suo Cuore. E così la paura restò dentro di lui, silente e sinuosa.
Il vecchio monaco dopo anni di meditazione pensò quella volta di non farcela, tentennò, era sul punto di aprire gli occhi e scacciare via quelle immagini. Provò a quietare il respiro, e ripensò alla storia del giovane P’eng Cho e di sua madre. Nulla veniva a caso. Provò a sorridere e tornò a guardare ancora quelle immagini che si annidavano negli occhi. Guardò ancora quel bambino tremante di paura di fronte al cavaliere nero, sentì la forza di sua madre strappargli il Cuore dal petto e portarlo al suo seno. Guardò nel fondo degli occhi di quel bambino e scorse nel riflesso dei suoi occhi l’immagine di un vecchio. Respirò profondamente e cercò di dare un nome a quelle sembianze. Era suo padre. Gli occhi del monaco si ingravidarono di lacrime, l’ultima restò vicino a dove si dice nasca il fiume che custodisce il segreto della Vita. Forse non a caso si annidò in quel punto. Suo padre se ne stava lì, lontano, tremante. Il bambino lo cercava con quegli occhi grandi e verdi. Ne attese l’arrivo, ma restò fermo a pochi passi da lui, ebbe solo il coraggio di tendere la sua mano, nulla di più. Quella mano aperta fu ponte mai giunto a compimento. Restò solo il seno di sua madre a sfamarlo. Il bambino si abbandonò a quelle cure rincorrendo con gli occhi quella mano a mezz’aria. Serbò un senso amaro e di inatteso. L’amore di sua madre si annidò nel suo Cuore, fu salvezza e prigionia, fu abbraccio e catena. Il respiro del monaco sussultò ancora, stava discendendo le ripide scale della memoria, lì dove non era mai stato. Si rivide nel corso degli anni alla ricerca di quel vecchio. Rivide quella mano tesa mai giunta a stringere la sua. Aveva cercato il suo vecchio. Aveva cercato quella mano capace di strapparlo dal seno materno, dal rifugio, dalla prigionia. Fu allora che prese consapevolezza di quanto fosse stata profonda e naturale quella ricerca, di quanto fosse radicato quel bisogno mai pienamente soddisfatto. Vide nella figura dell’abate il padre a lungo cercato, vide la mano tesa che diventava ponte, vide nell’abate l’abbraccio che libera e fa volare. Il monaco allora scoppiò in un pianto dirompente, un pianto che ruppe qualsiasi argine, i suoi reni a fatica riuscivano a trattenere tutta quell’acqua. Ricordò allora le parole dell’abate, l’origine della sofferenza è nel desiderio. Il respiro divenne affannoso, il diaframma salì alla gola, il Cuore si contrasse, il desiderio gli aveva tolto il respiro, il desiderio gli aveva strizzato il Cuore e aveva annidato in sé un amaro senso di gelosia. Desiderava quella mano, cercava quella mano capace di strapparlo dal ventre di sua madre, quella mano capace di toglier via quel latte perverso dal suo sangue. Vedeva il volto del bambino, gli vide gli occhi e quegli occhi entrarono dentro i suoi, respirò le sue lacrime e quello spazio immenso che separava la sua piccola mano da quella di suo padre… e fu allora che i reni non riuscirono più a trattenere tutta quell’acqua. L’acqua lo rivoltò da dentro e il fango che lambiva le rive del suo Cuore andò ovunque. Il suo Cuore tornò a fremere, a sentire forte quel desiderio. Tornò indietro a guardare quello spazio vuoto fra le mani tese. Fu assalito da mille pensieri e da un senso di rabbia per quella mano ferma a mezz’aria. E allora tornò il desiderio di suo padre che arrivasse a salvarlo da quell’abbraccio. Tornò il desiderio di avere accanto a sé l’abate. Il corpo del vecchio monaco si irrigidì, si contrasse, divenne come una corda tesa fra quelle due mani, una corda tesa pronta a sfilacciarsi fino poi a spezzarsi.
Poi d’improvviso udì quella musica… e quel motivo che faceva così… la, la lalaalala… la, la, lalala larala… la la, lalalla, lallalaala… lalalala… la… poi il silenzio e un grido che arrivò dal profondo… HUO… e il fuoco del Cuore tornò a bruciare. Bruciò ogni cosa, poi arrivò l’acqua e inondò tutto, anche il suo Cuore. E il vecchio monaco vide il bambino che era fermo ancora lì, tra le mani il pettirosso, privo di vita. Aveva lo sguardo fisso sul cavaliere nero e sul destriero bianco. Il respiro era in gola. Il vuoto che aveva trovato dentro di sé era più profondo di qualsiasi burrone e ora che era in quel vuoto non sapeva come uscirne. Vide davanti a sé gli occhi dell’abate. Sentì la sua mano sulla spalla, come quando l’accompagnò all’altare. Sentì dentro di sé la forza di quel giorno lontano. Non aveva paura della Morte, aveva paura di non aver accanto a sé quel Saggio che lo aveva aiutato e gli aveva teso la mano. Allora guardò gli occhi del bambino e gli tese la mano, poi chiese ai suoi reni di accogliere la paura e di lasciarla andar via, chiese alla sua milza di cercare quel ponte con il Cuore. Chiese al suo fegato di vuotarsi della rabbia e di mutarla in farfalle, infine chiese al suo Cuore di sorridere, di disperdere nel sorriso quel sentimento di gelosia e di attaccamento, di bisogno di esclusività. Era tornato un bambino, in balia delle sue debolezze. Un brivido percorse la sua schiena. Il bambino guardò il piccolo pettirosso fra le sue mani, stava cambiando forma, lo guardò ancora ora reggeva fra le mani il suo Cuore.
Il profondo custodisce la fragilità di ciascuno, talvolta quella fragilità si cristallizza in un blocco di ghiaccio e grava come un peso sul Cuore. Talvolta la memoria del corpo conduce lontano più del pensiero stesso.
Si dice che la compassione dell’Uomo talvolta giunga al bambino che era, si dice che talvolta l’Universo rimetta i debiti e il perdono giunga come Benedizione.
Il vecchio monaco, accolse e respirò il vento che s’infrangeva sul viso. La neve si era cristallizzata, era diventata una patina, un sottile e delicato velo sulla pelle. Il vecchio monaco provò a ingoiare il suo respiro e ripensò alla storia raccontata dall’abate del monastero, promise a sé stesso di gioire del presente e di provare a colmare i vuoti che sentiva dentro di lui con i doni che Dio gli aveva donato. Fu promessa e al tempo stesso preghiera.
Prima di aprire gli occhi guardò un’ultima volta il bambino, aveva le mani vuote e un dolce sorriso gli dipingeva il viso.
È così buffo pensò!
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