Tommaso
….poi a casa mi cucino una seppia e il residuo del suo nero insegue il bianco, a ricalco, su tutta la superficie delle mani…
Siccome ho una testa che impasta sempre parole, penso che quel nero su bianco sopra mani mie, sia scrittura: che le cose intorno scrivano sopra di me…
E se posso fare pagine da scrittore è perché io stesso stasera sono scritto da nero di seppia e polvere di marmo, su dorso e palmo di mano. Nel disparte di un tavolo da sparecchiare, nel fiato che esala cipolla, scrivo della materia che mi ha scritto.
Erri de Luca, Alzaia.
Le storie vengono da lontano io le accolgo… Questa storia è arrivata su dorso d'onda e riflesso di luna.
Sullo sfondo volteggia un’altalena. Un bambino dagli occhi verdi prova a volare. La paura pian piano si consuma nell’attesa di poter toccare il cielo.
La luce del neon invade gli occhi e l’immagine si sgrana. Tommaso è su un letto d’ospedale. L’infanzia gli torna negli occhi.
Tommaso è un uomo sulla quarantina di origini napoletane. Di professione fa l'orologiaio. Nel 2005 ha sposato Chiara, toscana, di professione insegnante. Vivono in un paese del centro Italia. Si sono conosciuti ad una festa e da quel giorno sempre insieme. Insieme alle mostre, insieme nei viaggi senza meta e insieme anche nei viaggi super organizzati quelli pieni di giapponesi pronti a scattare la foto dell'ultimo ricordo.
Tommaso preferiva chiamare Chiara la sua sposa.
Tommaso credeva in Dio. Chiara invece era buddista. A quel tempo era new age professarsi buddisti e Chiara un po' new age lo era.
Tommaso era un uomo estremamente preciso. Nell’ordine era maniacale, autistico per certi versi. La sera però accantonava i suoi orologi e volgeva lo sguardo verso le stelle e così dalla piccolezza e finitudine degli ingranaggi di un orologio si ritrovava a perdersi nella vastità della volta celeste.
Chiara era disordinata, la testa fra le nuvole, mille idee e poche azioni concrete. Amava il suo lavoro, amava dipingere e scolpire il legno. Amava stare in riva in mare a prendere il sole mentre Tommaso se ne stava tranquillamente all’ombra a leggere un libro.
Quando Tommaso chiese a Chiara di sposarlo era di primavera… Avevano organizzato un viaggio in Giappone e lui fra i ciliegi in fiore le diede l'anello. Lei condensò in una risata alquanto isterica la miriade di emozioni che in quel momento dovevano esserle passate per la testa. Tommaso inizialmente fu un po' perplesso poi si adattò e prese a ridere anche lui.
Tornati in Italia organizzarono il loro matrimonio.
Chiesa o comune? La spuntò Tommaso, chiesa. Il suo legame d'amore voleva essere sancito, riconosciuto e stretto di fronte a Dio e non solo di fronte alla bandiera dell'amata patria.
Invitati, quali e quanti? La spuntò Chiara. Alcuni familiari dovette invitarli per forza, si sa è così, poi però si diede da fare e contattò tutte le sue amiche sparse nel mondo, poco importava le conoscesse da giorni mesi o anni… era il suo matrimonio. Era il giorno più bello e bisognava essere circondate (nel suo caso sarebbe più corretto dire sommerse) dalle amiche.
Luogo e menù? La disputa fu lunga e complessa. Si vagliò tutto, dal mare alla montagna passando per il lago e in un momento di pura follia anche per una grotta (che a detta di Tommaso avrebbe scoraggiato i parenti più antipatici e gli amici non amici). Alla fine vinse un piccolo paesino in collina. La chiesa era perfetta, piccola in stile gotico, senza troppi fronzoli. Nella sua semplicità manifestava solo e soltanto la volontà di innalzarsi verso l'alto.
Il ristorante era in realtà una piccola locanda, il titolare un uomo sulla settantina con barba lunga e capelli bianchi quando sentì il numero degli invitati quasi pensò ad uno scherzo. Perché allora non organizziamo un bel buffet all’aperto disse Tommaso? Gelo.
L’idea era forse un po' troppo new age anche per Chiara ma alla fine fu quella che vinse con lo stupore persino del locandiere.
Poi ci fu la volta dei vestiti, la scelta dei paggetti, dei testimoni e molto molto altro ancora …
Poi finalmente arrivò il gran giorno, Chiara con il suo abito bianco e il velo lungo era bellissima.
Tommaso non era bello quanto Chiara vociferavano i parenti ma a lui per fortuna quel tipo di commenti non interessavano. Si godeva lo sguardo della sua sposa celato dal velo bianco e le sue labbra rosse come ciliegie.
Quel giorno fu meraviglioso. Tommaso e Chiara erano stanchi ma felici.
Qualche giorno di riposo e poi l’attesa luna di miele. La scelta cadde su un piccolo arcipelago del Borneo ai più sconosciuti. Furono giorni indimenticabili, come fu indimenticabile il giorno in cui Chiara disse a Tommaso di aspettare un bambino. Tommaso gioì come mai aveva fatto prima, poi preciso com’era iniziò a far calcoli e calcoli per capire il giorno esatto della nascita. Chiara gli accarezzò la guancia e lo baciò sulle labbra.
Il piccolo Marco arrivò in un giorno d’estate. Il nome non era casuale, era nel numero delle sue lettere proprio a mezzo del numero delle lettere del nome Tommaso e Chiara, ma soprattutto non era né troppo lungo né troppo corto e, come insegnava Massimo Troisi, non sarebbe venuto né troppo scostumato ma nemmeno troppo remissivo.
La gravidanza era stata perfetta. Tommaso e Chiara erano riusciti a coccolarsi e coccolare il nascituro.
Il giorno della nascita fu l’esperienza più bella che Tommaso e Chiara potessero pensare mai di vivere insieme. Alle 3 del mattino si ritrovarono fra le braccia un piccolo bimbo di 3 kg e guardandosi negli occhi capirono che davvero quel giorno qualcosa di più grande di loro si era compiuto.
I giorni a seguire furono naturalmente più complessi… i pannolini da cambiare, le notti insonni, gli ormoni di Chiara, le solitudini di Tommaso. Il tempo avrebbe armonizzato tutto dicevano, intanto Marco cresceva e diventava ogni giorno più buffo nelle sue espressioni e nei suoi gesti. Ci volle del tempo ma Tommaso, Chiara e Marco sembrava avessero imparato come fare per esser felici.
Era l'autunno del 2011, Tommaso aveva iniziato da alcune settimane a sentirsi stanco e nulla sembrava riuscire a farlo uscire da quello stato. Chiara era preoccupata. Una notte di ottobre Tommaso fu portato di corsa in ospedale, una crisi respiratoria.
Comincia così per Tommaso e Chiara l’iter infinito di ospedali, sale d’attesa, consulti medici, ambulatori, farmacie, sostegno psicologico.
La diagnosi era chiara cancro ai polmoni.
Chiara pianse di un pianto struggente, Tommaso restò in silenzio accarezzò Chiara e le strinse la mano.
Furono mesi difficili, la chemio, la lontananza dagli amori della sua vita. Tommaso aveva paura non della morte in sé ma di lasciare i suoi amori. Chi avrebbe fatto da padre al piccolo Marco? E da sposo alla sua Chiara? Di lui… gli importava poco e da “perfetto” cristiano non faceva altro che domandarsi il perché fosse accaduto tutto questo. Dio l’aveva dimenticato?
Una mattina Tommaso, seduto in sala d’attesa mentre aspettava il turno per la chemio aveva iniziato a sfogliare nervosamente le decine di riviste lasciate sul tavolino davanti a lui. D’un tratto lo colpì il titolo di un piccolo trafiletto scritto da una neuropsichiatra: “Curare o guarire?”
Incuriosito dallo strano titolo iniziò a leggere le righe.
La radice germanica antica del verbo guarire, war, varian, ha a che fare con la guerra. Ma c’è un ma: la radice war ha a che fare anche con la consapevolezza, come la awareness, consapevolezza in inglese, mostra. A-ware-ness fa pensare a uno stato senza guerra, come se la consapevolezza avesse il potere di sedare il conflitto.
Curare deriva dalla radice sanscrita di cura, Ku o Kav, la stessa di Kavi, saggio. Nella sua forma latina si scriveva Coera ed esprimeva l’atteggiamento di premura, preoccupazione nei confronti di una persona od oggetto amati, il “prendersi cura di”.
In antichità guarire significa preservare, difendere, salvare dal male, attraverso il guardare, diventare consapevoli. E soprattutto concetto che rimanda alla osservazione: dal latino Ob-Servare, che rimanda alla radice indoeuropea Swer-Swor, che esprime l’idea del guardare, custodire, stare in guardia. Interessante sapere che il verbo “vedere” in greco, horao, originariamente significasse collegarsi con la luce del sole.
Un turbinio di pensieri stava letteralmente divorando e lasciando senza fiato Tommaso. La prima domanda fu: Curarsi? E lui cosa stava facendo? Aveva davvero scelto il giusto “approccio” alla guarigione? Aveva vissuto la sua Vita con consapevolezza?
Una lacrima gli rigò il viso, poi sentì pronunciare il suo nome, si alzò e s’incammino verso l’infermiera. Era il suo turno, l’ennesimo esame diagnostico. Una PET, Tomografia ad emissione di positroni. Il nome era tutto un programma… a lui quell’acronimo ora faceva solo venire in mente una frase: Puoi Essere Tu… perché proprio questa frase? Puoi essere tu, cosa? La guarigione? La soluzione?…
Ci pensava mentre l’infermiera iniettava il farmaco in vena.
Qualche minuto poi si distese e chiuse gli occhi.
Vide un bellissimo giardino… vide Chiara e il piccolo Marco. Il giardino era rigoglioso, c’erano piante e alberi. Era tutto in fiore. D’un tratto fu colpito da una piccola zona sulla destra… era vuota, nessun filo d’erba, nessun fiore… nulla. Sabbia, solo sabbia. Una figura esile e vestita di bianco era lì ad aspettarlo.
Si parlarono a lungo, in silenzio come fa una madre con il proprio bambino.
Poi con gli occhi pieni di lacrime si congedò, fece un passo indietro e un altro ancora. Era tornato nel giardino di alberi e fiori.
Si voltò verso Chiara e Marco, erano lì e gli sorridevano. Lui non poteva, era come paralizzato. Lo sguardo allora tornò su quel piccolo spazio privo di vegetazione. Non poteva ignorarlo e allora alzò gli occhi al cielo e prese le stelle a manciate e, come fossero semi, iniziò a spargerle sulla sabbia. Ora sorrideva…
Signor Tommaso, signor Tommaso… Tommaso si svegliò da quello strano sogno, guardò l’infermiera che stava continuando a chiamarlo e a dirgli che l’esame era terminato.
PET… Puoi Essere Tu… era la frase che aveva sussurrato fra sé prima dell’iniezione, poi il sogno, quella strana visione.
Tornò in sala d’attesa e prima di uscire si portò la mano sul cuore.
Ripensò al sogno e si chiese chi fosse quella figura esile vestita di bianco. Gli vennero in mente alcuni nomi… sorrise pensando potesse essere un angelo, poi il sorriso mutò e arrivò la consapevolezza che quella figura esile e bianca altro non era che lui.
Forse una parte di lui, quella parte che aveva dimenticato, forse trascurato…forse messa a tacere.
Ora poteva dire di aver toccato con mano come San Tommaso…
Aveva lasciato che le sue dita affondassero nelle ferite, ma questa volta le ferite erano proprio le sue. Aveva dovuto aspettare di vederle sanguinare prima di fermarsi e capire che per paura aveva distolto lo sguardo proprio da sé.
Le parole si sciolsero in gola e fu allora che la voce divenne vergine.
L’Amore è fiore raro. Non mi innamorerò mai più per la prima volta…ripeté. Che male c’è? …
L’Amore è fiore raro. Che Bene c’è, si corresse.
Con altre forme e colori l’Amore era tornato. L’esile figura bianca chiedeva Amore.
Con altre forme e colori l’Amore era tornato. L’esile figura bianca chiedeva Amore.
Nessuna accusa, nessuna scusa, l’esile figura bianca chiedeva solo dove fosse finito il suo Cuore.
E lui vergine della voce provò a perdonarsi.
E vide intere stagioni susseguirsi negli occhi e vide le lettere del suo nome sgranarsi e mischiarsi in modo distratto.
E come fosse un altro vide i suoi doni dimenticati e stretti nel pugno di mano.
E come fosse un altro pensò che ne sarebbe dovuto esser fiero.
E come fosse un altro pensò che era tutto ciò che avrebbe sempre desiderato.
E ora che il Cuore era nudo e la voce vergine volse gli occhi al cielo e prese a volare sull’altalena della sua infanzia.
La parole si disciolsero negli occhi, le ombre scivolarono via dalle labbra, si distesero le rughe sulla fronte, le mani si raccolsero sul ventre. Si chiusero le palpebre e le stelle a manciate caddero per esser seme nel grembo, custodite nella magia dell’Universo della maternità.
Tic Toc, Tic Toc. Il Tempo riprese a scorrere nelle vene e nel respiro.

Commenti