Mohamed


Mohamed sedeva tutti i giorni nel cortile del Topcapi, il vecchio palazzo del sultano. Se ne stava lì, in primavera, con lo sguardo perso tra le fronde degli alberi fioriti, e continuava a star lì, in inverno quando il freddo spogliava gli alberi delle sue vesti più belle. Aspettava! I vecchi, quelli più vecchi di lui, raccontavano che era lì da tempo. Tutti o quasi tutti avevano dimenticato il giorno in cui lui si era seduto nel cortile e aveva fatto di quel giardino la sua casa. Mohamed aspettava, aspettava qualcuno con cui parlare, e quella panchina nell'angolo soleggiato prima di entrare e varcare le porte del palazzo, era il posto migliore per osservare le persone, per aspettarle.
Mohamed raccontava la rivoluzione, raccontava dei sultani e dei segreti dei palazzi, raccontava di Istanbul, della città confine o unione di Oriente e Occidente. Mohamed raccontava dei turchi, quelli che non ci sono più, dei mestieri dimenticati, dei mercati proibiti, nascosti. Raccontava delle donne in nero, sciami di sensualità e di profondi segreti. Raccontava di mondi lontani che sembravano prendere respiro dalle righe delle "Mille e una notte". Il suo viso restava impresso negli occhi.
Era notte fonda quando lo incontrai la prima volta. Una notte di inverno, fredda e buia. Un buio fitto, profondo. Se ne stava lì nell'unico angolo di luce. Vidi dapprima la sua ombra poi avvicinandomi la luce delineò i suoi occhi e lo guardai. Lo osservavo da lontano, in silenzio.

Era il viso di un cantastorie. Denso di rughe, scavato dal tempo. Gli occhi scuri erano piccoli e profondi. Le curve del suo viso erano addolcite da una barba bianca. Il tempo aveva inciso i suoi anni su quella fronte corrucciata.

Mi avvicinai e lui non appena vide la mia ombra incontrare la sua schiuse le labbra. Parlava sottovoce. La sua mente era come una scatola o forse un grande albergo, frequentato da ospiti senza fissa dimora. La sua voce dipingeva sulle mie palpebre vortici di immagini fatte di colori meravigliosi. Mohamed sapeva illuder con le parole, dava peso alle nuvole! Quella notte non osai interromperlo, continuai ad ascoltarlo per ore, immobile nel mio silenzio. L'ultima storia si diradò nelle luci dell'alba, lasciando sulle mie labbra il sapore di sale.

Mohamed allora chiuse gli occhi, si spogliò degli abiti e della voce da cantastorie e sottovoce sussurrò:

"Cerco solo un’evasione da questa prigione di solitudine. Racconto di fantasmi, strane coscienze della mia memoria, della mia fantasia. Rubo storie, pensieri ai passanti distratti. Vivo delle mie storie, inebriandomi di una vita tanto trasognata quanto irreale."

Capii allora che l'alone di magia che attorniava le storie di Mohamed era solo la scia delle sue solitudini.

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