Khalé Burla


Khalé Burla, Khalé Burla continuava a ripetere la vecchia nonna che era seduta sulla sedia in cucina. La madre arrivò di corsa e strinse fra le sue braccia il piccolo corpicino del suo bambino. Lui smise di piangere quasi all’istante e si accucciò con il mento sulla spalla di sua madre. Quell’incavo sembrò adattarsi per accoglierlo, un po’ come fa l’acqua con la carena delle navi e così, il mento del Piccolo si distese morbidamente. Khalé Burla ripeté nuovamente la vecchia nonna, la madre sorrise. Il Piccolo era nato nel mese di settembre, proprio a ridosso del cambio di Luna. La madre l’aveva atteso a lungo, l’aveva fatto nascere in sé con una preghiera, gli aveva cantato le ninna nanne ancor prima che fosse carne e sangue nel suo grembo. L’attesa era durata molto di più di 9 mesi. Il grembo del padre che nulla poteva accogliere si fece ombra. Non stava innanzi come è solito far l’ombra ma di fianco a protezione e sostegno. Dell’ombra conservava però l’esser schivo e silenzioso. In fondo anche l’ombra attende.

Il Piccolo scelse i suoi genitori ancor prima della notte in cui i loro corpi si incontrarono. E così gravido di loro, si accucciò nel grembo della madre e lì aspettò 9 mesi.
Furono mesi intensi. Il grembo crebbe e talvolta il Piccolo faceva intravedere di sé i suoi piedini o i pugni chiusi che apparivano in superficie come increspature, onde su pelle.
Nacque poco prima dell’alba in una città sorda e silenziosa, velata di nebbia. 

Khalé Burla disse la vecchia nonna appena lo vide e subito lo strinse fra le sue braccia. Il Piccolo fece una piccola smorfia, mentre le sue labbra, già carnose e rosse si schiusero in un meraviglioso sbadiglio. Fu meraviglia, alba dopo una lunga notte, parola dignitosa dopo lungo silenzio.
Il sorriso del Piccolo distese il Cuore di sua madre e di suo padre, quel Cuore che pian piano tornò ad accartocciarsi e consegnò al suo ritmo costante il suo grido. Fu così che sembrò congedarsi dalla Gioia.
I primi mesi dopo la nascita del Piccolo furono densi e difficili. Era come se le ferita lasciata nel e sul grembo della madre non fosse riuscita ancora a chiudersi. Quella cicatrice segnò l’origine della frattura. 

Il Piccolo divenne la manifestazione di quella mancata cucitura e il grembo materno oramai vuoto parve non riuscisse più a colmarsi. Il grembo paterno invece si colmò dell’incompiuto, delle mancanze, di quelle malinconiche solitudini che provenivano dal vuoto. 
Le ferite divennero maschere e gli Spiriti fantasmi. Fu così che il Tutto divenne solo Parte. Non sarebbe bastata una colata d’oro a tenere insieme quella stessa Parte. Fu così che iniziò la seconda gravidanza. Non si sa chi ingravidò chi, o cosa. Iniziò la seconda attesa. L’attesa di quel Tutto che permea l’infinito, l’attesa di quel Tutto che è respiro profondo nelle trame della Vita.

La seconda gravidanza non portò onde su pelle, echi e battiti ma ombre. L’ombra di grembi piatti. Ci furono parole, parole parlate addosso e silenzi, silenzi incompresi che divennero solitudini vuote. Il Vuoto nel Vuoto, il Pieno nel Pieno, ci fu chi non seppe vuotarsi e chi non seppe riempirsi. 
E così i grembi divennero sempre più gravidi d’ombre. Furono ombre nere, aride e dai contorni spigolosi. Si declinarono silenzi sempre più profondi, le lacrime stantie divennero stagno putrido e fangoso. 

Khalé Burla, Khalè Burla divenne il monito e quella Parte che aveva mangiato il Tutto cercava ancora di tenersi insieme. Si aggrappava, appigliava al sorriso di quel Piccolo, alle sue mille smorfie, a quel mosaico meraviglioso di sguardi, suoni e sorrisi. Ci si chiedeva dove si era ritirato il Tutto. L’ombra l’aveva eroso, come fa l’acqua con la roccia. E così alla roccia che dopo la resistenza costante, d’un tratto cede, la Parte gravida d’ombre abortì. E l’attesa si fece sterile. 

Accadde, accadde quel che oramai nessuno più attendeva, quel che la Speranza stessa si rifiutava di credere. Accadde che un giorno d’inverno in riva al mare, passeggiando a lasciare orme sulla sabbia umida costellata di legni lisci e tronchi cavi, il Piccolo che aveva iniziato a sgambettare, a piedi scalzi inciampò. 
Accadde che restò lì sulla sabbia umida, silenzioso e in attesa. La madre arrivò di corsa, gli carezzò il viso. Il Piccolo rise. Il padre sorrise. 

Accadde che gli occhi tornarono a guardarsi per qualche istante. Accadde che d’improvviso dal mare piatto arrivò l’Onda. L’acqua fredda bagnò per prima i piedini del Piccolo, lui rise di gusto, il riso del Cuore, Gioia profonda. Poi l’Onda arrivò alle caviglie dei Grandi che contagiati dal riso del Piccolo, sorrisero. I sorrisi tornarono a guardarsi per qualche istante.
Accadde poi che il Piccolo tese le sue manine bianche, le tese aprendo le braccia e guardando verso il Cielo. Attese silenzioso che l’abbraccio fosse accolto.
La mano sinistra l’afferrò il padre, la destra la madre. Accadde. 

Khalé Burla, Kalhé Burla.. il bambino è un Re e ora aveva unificato il suo Regno.


Accadde, quel giorno accadde che la Parte era divenuta di nuovo parte del Tutto. 




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