Basta
L'uomo era stanco. Erano giorni che ci pensava, giorni fatti di respiri strozzati nel petto, notti insonni, soliloqui. Era da troppo tempo che solcava il mare dell’inquietudine, se ne stava lì con la testa cosparsa e circondata dai pensieri, tutti stipati e costipati come pesci intrappolati nelle reti. Il mare diventava meno ostile quando prendeva a passeggiare, Cuore e Occhi alla ricerca del “Vuoto”, così gli avevano insegnato. I suoi passi uguali, cadenzati, apparentemente distratti erano in realtà pesati e puntuali, silenziosi. Il corpo cercava di portare silenzio e quiete al brusio della mente, incessante, senza fine, senza riposo.
Avete mai osservato il moto di una mosca? Il suo volo apparentemente distratto che, nella monotonia sembra non aver una logica, in realtà si ripete immutabile; ecco così era il moto dell'uomo, un andare e un tornare apparentemente disordinato fra i suoi pensieri, un passare da un ramo all’altro come una piccola scimmietta impazzita. Stanco del suo altalenare decise di provare a vuotarsi. Forse solo allora avrebbe potuto ritornare a riempirsi. Ora era corroso dal pieno, corroso dai pensieri, dalla rabbia. Già la rabbia, quella che affonda le radici nella sensazione di ingiustizia e di tradimento. Si, esatto si sentiva tradito dagli affetti. La rabbia lo percuoteva, lo riempiva, spuntava nella mente come fanno quelle erbacce infestanti. Lui ci provava a far tacere quelle voci di rabbia ma poi puntualmente i loro echi arrivavano dal profondo alla superficie ed era allora che quelle voci di dentro diventavano grida di fuori.
L’uomo era stanco, stanco di ripetere a se stesso le sue motivazioni, le plausibili spiegazioni agli eventi. Stanco di ripetere agli altri le ragioni e il proprio sentire. Era stanco di ascoltare le voci degli altri ma altrettanto stanco di ascoltare le sue voci, le voci di dentro. Un giorno particolarmente freddo, uscì di casa e andò a rifugiarsi nel piccolo capanno degli attrezzi, in quel lembo di terra che fu di suo nonno. Ci arrivò correndo, entrò e trovò ancora ben agganciato al soffitto quel saccone di pelle di colore nero che suo nonno usava per allenarsi. Iniziò a tirare pugni d’istinto senza badare troppo alla tecnica. Serrò le dita e colpì, colpì ripetutamente quel sacco più e più volte. Iniziò poi a girarci in tondo al saccone, costruì la sua danza, continuando a muoversi e a colpire. La tecnica si fece pian piano più raffinata e i colpi divennero precisi, puntuali. Immaginò sulla pelle nera del saccone il viso di chi la rabbia l’aveva montata e colpì forte. I volti erano lì privi di lividi e di espressione. All’uomo quell’immobilità parve però un’espressione beffarda e fu allora che affondò ancora più forte i suoi colpi. D’un tratto appiccicato alla superficie del saccone vide il suo volto. Rimase per qualche istante smarrito, poi capì di aver finalmente incontrato il suo vero nemico. Aveva i suoi stessi occhi, le sue stesse labbra e se ne stava lì privo di espressione a fissarlo mentre continuava silente a prender pugni. Fu come guardarsi allo specchio e con lo sguardo andare al di là del proprio riflesso. Ciò che restò fu l’essenza spogliata del corpo. Si vide come un giradischi rotto, uno di quelli con la puntina incantata a graffiare di continuo la superficie del vinile.
Fu allora che si fermò e fece un respiro profondo. Sottovoce sussurrò basta, lo ripeté un'altra volta “basta”, poi si inumidì le labbra e pronunciò ancora quella parola, “BASTA”. Continuò a ripeterlo come fosse un mantra. BASTA disse, e quelle labbra che inizialmente erano appena schiuse sbocciarono, rosse e carnose. La parola "basta" riecheggiò dall'intimo alla superficie, dove trovò realtà e consapevolezza. Il corpo fu percorso e percosso da uno strano tremolio accompagnato da una sensazione di freddo. Fu così che arrivò il Vuoto. Non fu un Vuoto assoluto, i pensieri erano ancora lì stipati e costipati, ciascuno pronto a reclamare se stesso, era però come se avessero smesso di perpetrarsi, reinventarsi ogni volta da sé. Il Vuoto che arrivò fu come una ventata estiva, appena udibile alle orecchie ma calda sulla pelle. E così l'uomo, che amava impastare immagini nella sua mente, si figurò davanti agli occhi un piccolo focolare, 4 piccoli tronchi messi l'uno accanto all'altro a confine di tanti piccoli arbusti secchi e nudi di foglie. Non si vedeva fiamma viva, ma avvicinando le mani si riusciva a sentire appena appena un po' di calore. Quel vento caldo soffiò sulla brace e come un vecchio mantice ridiede vita ad una fiamma bianca e silente. L'uomo sentì ancora una volta quel brivido sulla pelle mentre i suoi occhi continuarono a fissare quella piccola fiamma. I suoi pensieri erano stati come sabbia che via via aveva coperto il fuoco. Capii che quei pensieri l'uno in fila all'altro, attendevano solo di esser congedati. Sentii il suo respiro farsi più profondo, ebbe l’impressione che quel respiro fosse accolto in grembo come nel più dolce degli abbracci. Vide allora gli occhi di suo figlio, e quella somiglianza con lui da bambino lo impressionò. Quel piccolo bimbo conduceva l’uomo al bimbo che era stato. Fu così che riscoprì lo stupore e la meraviglia. Guardò la realtà con gli occhi di quel bambino e pian piano la rabbia sembrò affievolirsi. Pensò o forse si illuse per qualche istante di esser guarito, poi d’improvviso sopraggiunse un senso di stanchezza al Cuore. La rabbia aveva ceduto il posto all’amara delusione di sentirsi solo.
L’uomo mise in discussione l’intera sua esistenza, il Vuoto divenne nuovamente Pieno. Quella sera l’uomo ritornò a casa, fece una doccia calda, cucinò e mangiò qualcosa, poi provò a disegnare. Restò in silenzio tutto il tempo, cercò di esser in tutto ciò che faceva. Fu a notte fonda che provò un senso di gratitudine e fu felice. Non fu un atto magico. Richiese uno sforzo, un po’ di coraggio, quel coraggio che probabilmente serve all’uccellino per spiccare il primo volo. Erano le 3 quando l’uomo decise di uscire in terrazza, alzò gli occhi e guardò le stelle, così anche la notte che custodiva nell’Anima allora si illuminò e tanti furono i pensieri che volarono via come stormi di uccelli. E così quella notte affidandosi alle stelle dal grembo dell’uomo nacque l’Uomo.

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